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10/09/2013Pierluigi Capra - Free Lance
 
 
VINCE A VENEZIA IL GRAN PREMIO DELLA GIURIA, MA L'ESORDIO DI TSAI MING-LIANG È AL “TORINO FILM FESTIVAL” DEL 1992
 
 
Torino aveva visto giusto. Tsai Ming-liang è un regista taiwanese di origine malese che fa il suo esordio nel 1992 al Torino Film Festival e vince subito, con il suo Rebels of Neon God (I ribelli del Dio Neon), il premio per il miglior film.
Nel film si raccontano due storie di giovani a Taipei. Una ha come protagonista uno studente ed il suo difficile rapporto con la famiglia, l'altra mostra le rivalità tra due gruppi di giovani che degenera in collisione e atti di vendetta e violenza. Storie di giovani in difficoltà, insoddisfazione e ribellione. Da sfondo la città cinese con le sue sale-giochi ed i suoi centri commerciali.
Non cambia molto la tematica del regista taiwanese Tsai Ming-liang, che vince alla Mostra del Cinema di Venezia di quest'anno, il “Gran Premio della Giuria” con il film Stray dogs (Cani randagi).
E' stata una delle pellicole più applaudite del concorso di quest'anno. Annunciato come l'ultimo lavoro della sua carriera, il film ha come protagonista una famiglia emarginata che vive ogni volta in luoghi diversi della periferia di Taipei, composta da un padre, un inetto buono a nulla (interpretato dall'attore feticcio del regista Lee Kang-sheng) abbandonato dalla moglie, e due figli piccoli, un bambino e una bambina, che cercano di sopravvivere come possono.
L'uomo racimola una misera paga facendo il “cartello umano”, reggendo un manifesto che reclamizza un'agenzia immobiliare che vende appartamenti di lusso, sotto il sole come durante le giornate di pioggia, esposto al caldo o alle intemperie. Mentre i due bambini tentano di sfamarsi con campioni di cibo distribuiti gratuitamente nei centri commerciali e con gli scarti dei supermercati proprio come i “cani randagi”, da cui il titolo del film. La notte trovano riparo in edifici abbandonati e fatiscenti.
Un giorno, nelle vite dei tre si introduce una donna che incontra la ragazzina al supermercato e inizia a seguirla. Scopre l'edificio diroccato in cui i tre dimorano, e decide di intervenire. L'uomo sarà così costretto a separarsi dai suoi due figli oppure l'intervento della donna potrà segnare l'embrione di una nuova famiglia?
Al centro della storia le persone che lottano per la sopravvivenza e per ritrovare la felicità. “Credo che questo tipo di persone, ovvero le persone senza casa, siano le più libere”, dichiara il regista.
Vero e proprio testamento dell'intera opera di Tsai Ming-liang, Stray Dogs porta all'estremo tutte le ossessioni che hanno caratterizzato la sua carriera. Prime fra tutte la solitudine e l'incomunicabilità.
Tramite una straordinaria composizione dell'immagine, in particolare per l'uso dei colori e delle luci, il film riesce a stupire e coinvolgere lo spettatore anche se molte inquadrature siano obiettivamente troppo prolungate su soggetti spesso immobili.
Ma si sa che Ming-liang procede con lentezza; il tempo per lui è una variabile da manipolare e dilatare arbitrariamente per raccontare quelle storie della contemporaneità che gli altri per la troppa fretta non vedono o per disattenzione non percepiscono. Esplora anche in questo lavoro, come già nel film Che ora è laggiù? presentato a Cannes nel 2001, il complicato rapporto della contemporaneità con il tempo.
Due scene in Stray dogs vedono i protagonisti immobili per svariati minuti a fissare un murale, in un sottoscala vuoto. Il dipinto sul muro è la rappresentazione o la proiezione di un universo solo sognato: ammirato per lunghi minuti, con struggente estasi mista a tristezza. Il regista vuole che lo spettatore percepisca il cinema non soltanto con gli occhi, ma con tutti i sensi, vuole fornire una specie di sensazione tattile. Mantenendo immobili i suoi personaggi davanti ad un disegno, a poco a poco lo spettatore si concentra su aspetti diversi rispetto all'immagine che osserva. Sfrutta in questo modo la magia del cinema.
Ogni sua inquadratura è curata e questo fa sì che il film sembri girato in 35mm quando invece, per contenere i costi, è tutto in digitale. Ha un rapporto di collaborazione strettissimo con il suo direttore della fotografia, Liao Pen-Jung, con cui lavora dal suo primo film. Si capiscono al volo, senza bisogno di parlare e anche questo fa parte di quei silenzi fecondi spesso presenti sul grande schermo.
L'approccio del regista con la materia filmica è radicale, senza compromessi. Disgustato dall'industrializzazione del suo paese e dalla visione del cinema come semplice “servizio” allo spettatore, Tsai mette in campo un cinema che non è mai artificiosità, manierismo o compiacimento autoriale. La sua macchina da presa fissa fa parlare i volti dei suoi attori, che esprimono un raro controllo dell'espressività facciale, e gli stessi ambienti che mette in scena (in qualche modo personaggi anch'essi) sono compartecipi del dramma.
Chi va a vedere un film di Tsai, sa esattamente cosa attendersi, è un autore riconoscibile proprio per la reiterazione delle sue tematiche e della sua estetica. Anche questa nuova opera non sposterà le posizioni di estimatori e detrattori.
Dopo Torino anche Venezia di quest'anno sembra dargli ragione.
Pierluigi Capra




 


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