La rassegna d’arte “Terra del fuoco – ceramica d’autore” occuperà piacevolmente, per il nono anno consecutivo, il fine settimana di tutti coloro che amano le cose belle e colgono l’oppurtunità di questa esposizione per ammirare tutto ciò che Avigliana può offrire sia sotto il profilo storico che paesaggistico.
La formula vincente de La terra del fuoco è, infatti, quella di mettere in mostra le opere di artisti di fama mondiale, accanto a quelle dei maestri ceramisti dell’eccellenza piemontese, con opportune installazione all’interno dei palazzi storici cittadini. Un itinerario affascinante che mescola la storia con l’arte di chi sa trasformare la terra con le sue mani sapienti.
L’inaugurazione è prevista per sabato 16 ottobre, alle ore 16,30, presso la sala consiliare del Comune, alla presenza del sindaco Carla Mattioli dell’assessore all cultura Angela Bracco, di autorità locali. Al termine della presentazione si inizierà il percorso espositivo. La mostra sarà visibile fino a domenica 7 novembre.
L’edizione 2010 propone le opere di alcuni artisti di fama internazionale e valore tra cui Gilberto Zorio, Marco Gastini, Mario Molinari, Mauro Chessa, Om Bosser, Giacomo Soffiantino, Mario Schifano, Silvio Vigliaturo, Martha Pachon, Luciano Laghi, Caterina Zacchetti, Luca Canavicchio, Daniela Savio oltre all’esposizione dei lavori di artisti legati alla Scuola Comunale Aviglianese di Ceramica diretta dal Maestro Piero Della Betta. Lo stesso maestro Della Betta quest’anno esporrà presso il suo laboratorio, di via Porta Ferrata, dando anche dimostrazione dal vivo della sua arte, a testimonianza della sua trentennale attività nel Centro storico di Avigliana con la Scuola civica d’arte ceramica divenuta punto di incontro per moltissimi allievi ed artisti.
«Non è semplice, anno dopo anno, portare ad Avigliana i nomi importanti che hanno reso grande non solo l’arte della ceramica – spiega l’assessore Angela Bracco ideatrice di questa rassegna – ma credo che anche per questa edizione riusciremo a stupire il visitatore con alcuni fra i più importanti esponenti dell’arte povera».
La mostra, organizzata dal Comune di Avigliana, è curata come sempre dall’architetto Vittorio Amedeo Sacco che anche quest’anno firma il prestigioso catalogo.
Gli edifici storici che ospitano la mostra
Le sedi espositive si trovano principalmente intorno a Piazza Conte Rosso e sull’asse viario via Porta Ferrata - via XX Settembre ed in particolare: Chiesa di Santa Croce, i locali espositivi dell’Associazione Culturale - Dante Selva, tre botteghe di Piazza Conte Rosso ed una in via porta Ferrata, la Scuola civica di ceramica, Casa Mattone, Oratorio del Gesù.
Orari
La terra del fuoco – ceramiche d’autore è visibile il venerdì, il sabato e la domenica (dal 16 ottobre al 7 novembre) dalle ore 15 alle 19. Lunedì 1 novembre, festa di Tutti i santi, la mostra resta aperta con il medesimo orario dalle ore 15 alle 19. Ingresso ed itinerari gratuiti.
Gli artisti presenti alla nona edizione de La terra del fuoco
Gilberto Zorio nasce nel 1944 a Andomo Micca.
Dopo studi all'Accademia Albertiana di Torino, è stato fra i principali esponenti dell'Arte Povera, che si inserisce nella più generale tendenza all'arte processuale, un'arte cioè che mette a nudo i propri elementi e procedimenti, si rivela nel suo farsi e sostituisce alla tradizionale rappresentazione la presentazione diretta dei materiali.
Nella galleria di Gian Enzo Sperone a Torino (1967) aveva presentato opere che apparivano come semplici registrazioni di gesti elementari (come il cilindro di eternit che viene sollevato in equilibrio precario da camere d'aria) e di processi fisici 'in progress' (come l'evaporazione dell'acqua marina sulla tenda).
L'energia è la costante che attraversa l'intera opera di Zorio da allora fino a oggi, dagli attrezzi 'per purificare le parole', alle stelle, alle canoe, alle 'macchine irradianti', tutte immagini in movimento.
La stella, figura atavica e cosmica ricorrente nel lavoro di Zorio, appare nel 1972 per la prima volta in un'opera in cui una pelle animale diventa autoritratto dello stesso artista (la stella è al posto degli occhi).
Filo incandescente (1970), giavellotto (1971), raggio laser (1975) sono i vettori d'energia che costruiscono di volta in volta la forma stellare. Vasi, bacinelle e crogioli, come alambicchi di vetro e di piombo costituiscono alchemici processi di trasformazione. Non c'è però mai metafora, il rimando a qualcos'altro (nonostante le valenze d'archetipo e le risonanze di significato che in generale la stella possiede): a Zorio dell'immagine interessa la forza, non il valore simbolico, dei materiali, anche i più comuni, la possibilità di combinazione che genera positive conflittualità ed energetiche tensioni.
Zorio dal 1967 ha partecipato alle principali mostre dell'Arte Povera ed innumerevoli sono le sue mostre, personali e collettive, presso spazi pubblici e privati. Fra l'altro: al 1976 risale la personale al Kunstmuseum di Lucerna, poi espone in numerose istituzioni museali come lo Stedelijk Museum di Amsterdam (1979), la Galleria Civica di Modena e il Kunstverein di Stoccarda (1985), Il Centre d'Art Contemporain di Ginevra e il Centre Georges Pompidou di Parigi (1986), la Philadelphia Tyler School of Art (1988), la Fundacao de Serralves di Oporto (1990), L'Istituto Valenciano de Arte Moderna di Valencia (1991), il Centro per l'Arte Contemporanea Pecci di Prato (1992), Documenta di Kassel (1992) la Galleria Civica d'Arte Contemporanea di Trento (1996), il Dia Center for the Arts di New York (2001).
Marco Gastini è nato nel 1938 a Torino, città dove attualmente vive e lavora.
Diplomato alla Scuola di Pittura dell’Accademia Albertina, nel 1964 allestisce la sua prima personale alla Galleria del Falò di Alba. Inizia la propria esperienza artistica muovendo dall'esigenza di superare la stagnazione della pittura tardo-informale, per approdare, in un primo tempo, alla definizione di una pittura fatta di gesti minimi, per poi giungere a una visione non più classificabile entro le tendenze del momento. La problematicità dello spazio, sia mentale che fisico, come luogo di azione della pittura, accompagnerà sempre l’artista. Agli inizi degli anni '70 risalgono le prime fusioni in piombo e antimonio su parete, presentate anche a Modena ad Arte e Critica '70 . Dopo la personale alla Cirrus Gallery di Los Angeles nel '75 e alla John Weber Gallery di New York nel '77, è a Milano nel '78 allo Studio Grossetti. Per Gastini sono essenziali le nozioni di energia, tensione, coinvolgimento, grado di immersione, attrazione e repulsione. In questi anni l'uso del colore fa la sua comparsa insieme ai materiali più differenti: legni, pietre, pergamena, ferro, tutto partecipa alla crescita del lavoro. Prosegue intensa la collaborazione con gallerie italiane, europee e americane: la Martano a Torino, lo Studio Grossetti a Milano, la Sperone a Roma; la Ealter Storms a Monaco, la John Weber di New York. Nel '82 la prima antologica al Lenbachhaus di Monaco, nel '83 alla Galleria Civica di Modena, nel '84 al PAC di Milano a cura di Paolo Fossati che si occupa nel '88 della monografia Marco Gastini per le Edizioni Essegi. Nel '92 la GAM di Bologna gli dedica una mostra, e così la Galleria Civica di Trento nel '93. E’ dello stesso anno una grande retrospettiva ai Kunstverein di Francoforte e St. Gallen a cura di Peter Weiermair e Roland Waspe.
Nel '97 a Siena è presente con Scommessa, una mostra dove i lavori sparsi nella città colloquiano con la storia e l'atmosfera magica del luogo. Nel '98 l'Orangerie del Castello Weimar accoglie una sua grande installazione, mentre Torino nel 2001 gli dedica una corposa retrospettiva curata da Pier Giovanni Castagnoli e Helmut Friedel alla Galleria D'Arte Moderna, nei grandiosi spazi della Promotrice, allestita poi anche al Lenbachhaus di Monaco. Nel 2005 si susseguono varie personali, tra cui una al CAMeC di La Spezia e una alla galleria Spirale Arte di Milano, insieme a Paolo Icaro.
Mauro Chessa è nato nel 1933 a Torino, dove vive e lavora.
Si forma presso la sezione di pittura dell`Accademia Albertina di Torino con Menzio e Calandri e, nel 1954, inizia ad esporre partecipando alla mostra "Undici giovani pittori di Torino".
Improntata al realismo, la sua pittura è fortemente influenzata dalle esperienze torinesi di Casorati, Menzio e dal Gruppo dei Sei, a cui appartiene il padre, Gigi Chessa, figura prematuramente scomparsa che Mauro conoscerà solo attraverso i ricordi dei film.
Negli anni Cinquanta, indistintamente dall’area geografica di provenienza degli artisti, il mezzo pittorico subisce il fascino e la seduzione dell’Action painting e dell’Espressionsimo astratto, le correnti che in quegli si andavano affermando negli Stati Uniti (Pollock, Kline, de Kooning) e in Francia (Dubuffet e gli autori del Tachisme) e che, esaltando la gestualità del corpo in azione, promuovono l’uso espressivo ed incontrollato della materia.
All’inizio degli anni Settanta, probabilmente nel generale coinvolgimento della cultura nei movimenti rivoluzionari, vi è da parte di Mauro Chessa una temporanea sospensione del mezzo pittorico, periodo in cui l’artista approfondisce il linguaggio cinematografico dedicandosi a film underground, ad animazioni e filmati di controinformazione.
All’inizio degli anni Ottanta, alla crisi di quei valori cari al decennio precedente si affianca una lenta e graduale riaffermazione della pittura come mezzo espressivo, della storia e della tradizione, utilizzato per indagare la realtà.
E’ in questo contesto di ritorno alla figurazione che molti artisti, tra cui lo stesso Chessa, elaborano una personale pittura che, in apparenza rappresentativa, è invece carica dei significati che ogni immagine riprodotta porta con sé. La pittura diventa così per Chessa un mezzo espressivo ineluttabile, una pratica che vede l’artista impegnato nell’analisi più scrupolosa e precisa del reale; dalle nature morte di reperti della quotidianità, vedute suburbane (fabbriche abbandonate, ferrovie, sottopassi) o naturali (boschi, stagni), alle figure che, soprattutto femminili, sono indagate in una loro umanità assorta.
Mario Molinari
Le opere coloratissime e a tutto spazio di Mario Molinari (Coazze 1930/Torino 2000) sono già state ospiti della città nella primavera scorsa durante la manifestazione “Piazza delle meraviglie”.
Iniziò autodidatta come scultore alla fine degli anni Cinquanta, mentre era ancora il direttore delle Cartiere di Coazze. Personaggio sicuramente particolare, protagonista di vari movimenti culturali per la sua capacità di porsi al di fuori dalle convenzioni, così da confrontarsi esclusivamente con la propria voglia di creare. Fu uno dei fondatori di Surfanta il gruppo surreale-fantastico costituitosi a Torino nel 1964. Il materiale inizialmente a lui più congeniale fu il rame, cui a partire dagli anni Settanta si aggiunsero l'alluminio, il legno e i materiali plastici, segnando una svolta in senso ironicamente tecnologico, in seguito alla quale le superfici si fecero levigate e vivacemente colorate. Nel suo percorso sia artistico che privato il colore è stato l'elemento prioritario della sua filosofia di vita. Le sue opere risultano sempre più stilizzate, geometrizzanti e astratte: è quasi un teatro ambulante, pieno di humour e di folle gioia. Queste costruzioni ci fanno scoprire l'omaggio a un futuro migliore e, parallelamente, anche l'annientamento di una triste oscurità. Dagli anni Ottanta si dedicò soprattutto a far sì che l'arte fosse fruibile da tutti, portando la scultura in spazi pubblici in mezzo alla gente.
Om Bosser (Torino 1949)
Al primo impatto è sicuramente la sua esistenza stravagante e camaleontica a colpire chi si approccia alla sua produzione. Ma c’è molto di più. È un ricercatore dell’anima: sembra vagare nelle misteriose e recondite profondità dell’essere umano, bramoso di capirne l’essenza. Om Bosser emerge nel panorama contemporaneo come abilissimo padrone e sperimentatore delle più diverse tecniche artistiche. È difficile, se non impossibile etichettarlo o ingabbiarlo in un contenitore precostituito perché incessantemente cambia. La sua arte pare nel limbo tra astrazioni e tenaci residui figurativi. Nelle opere qui esposte, si fanno timidamente spazio figure “perfette” come fotografie, quasi ritagliate e attaccate ad un ambiente che non sentono loro. Sono presenze, realtà spirituali solitarie, bloccate in un eterno presente. Ognuno è bloccato in se stesso dalla paura di vivere, dal dolore, ma con la loro dose di tristezza e apparente serenità affrontano giorno dopo giorno il cammino della loro esistenza in una malinconica pace. Vagano su un tappeto nero che rievoca spesso la morte, l’assorbimento, l’annullamento di tutte le forze vitali, l’ignoto. A fare da contrasto verdi pareti foriere di una nuova rinascita spirituale.
Giacomo Soffiantino è nato a Torino nel 1929, città dove vive e lavora.
Ha frequentato l'Accademia Albertina, allievo di Francesco Menzio, di Aldo Bertini e di Mario Calandri. Ha insegnato al Liceo Artistico e all'Accademia. Esordisce partecipando alla mostra "Sette pittori torinesi" nel 1955, alla galleria Girodo di Ivrea e alla Galleria San Matteo di Genova, con la presentazione di Enrico Paulucci, e alla mostra "Niente di nuovo sotto il sole" curata da Luigi Carluccio alla galleria La Bussola di Torino. Nel 1956 espone a Milano, alla galleria Il Milione, insieme a Merz, Ruggeri e Saroni, presentato da Luciano Pistoi. Partecipa alla Biennale di Venezia nelle edizioni del 1956, 1958, 1964 e 1972, anno in cui viene inserito anche nel Catalogo della Grafica. Nel 1964 è invitato alla Biennale di San Paolo del Brasile, e successivamente espone anche in Argentina, Usa, Austria, Francia, Grecia, Germania e Svizzera. Nel 1985 la Regione Piemonte e la Città di Torino gli dedicano una mostra antologica al Palazzo della Regione in Piazza Castello e nella sede del Piemonte Artistico e Culturale. Altre prestigiose mostre a Lissone nel 1988, Alessandria nel 1989, al Palazzo Ducale di Venezia nel 1993, a Casal Beltrame nel 2000 con lo scultore Augusto Perez. Ancora la Regione Piemonte nel 2002 gli dedica una grande mostra antologica nelle Sale Bolaffi. Intensa e sempre parallela a quella della pittura la sua attività incisoria. Vincitore del primo Premio Biella nel 1963, riceve il Premio Soragna nel 1966, il Premio Pescia nel 1968, il Premio Cittadella nel 1970 e, alla II Biennale internazionale di grafica a Firenze nel 1970, il Premio Rai, e così, in seguito, nelle più importanti rassegne internazionali, fino al Premio Santa Croce del 2003 e alla prestigiosa mostra nell'Istituto Italiano di Cultura di Edimburgo del 2004.
Mario Schifano ( Homs in Libia il 20 settembre 1934 - Roma il 26 gennaio 1998).
I suoi debutti sono nell'ambito della cultura informale con tele ad alto spessore materico. Con opere di questo genere inaugura la sua prima personale nel 1959 alla Galleria Appia Antica di Roma. E' comunque in occasione della mostra del 1960 alla Galleria La Salita in compagnia di Angeli, Festa, Lo Savio e Uncini, che la critica comincia a interessarsi del suo lavoro. Abbandonata l'esperienza informale, ora dipinge quadri monocromi, grandi carte incollate su tela e ricoperte di un solo colore, tattile, superficiale, sgocciolante. Il dipinto diventa "schermo", punto di partenza, spazio di un evento negato in cui, qualche anno dopo, affioreranno cifre, lettere, frammenti segnici della civiltà consumistica, quali il marchio della Esso e della Coca-Cola. Nel 1962 Schifano è negli Stati Uniti; conosce da vicino la Pop Art, resta colpito dall'opera di Dine e Kline ed espone alla Sidney Janis Gallery di New York nella mostra The New Realist. Nel 1964 viene per la prima volta invitato alla Biennale di Venezia. L'artista opera ora per cicli tematici: i paesaggi anemici, la rivisitazione della storia dell'arte con i lavori dedicati al Futurismo. E'attratto dalle immagini prelevabili dai mezzi di comunicazione di massa e quindi patrimoni della collettività. Si occupano di questa fase del lavoro di Schifano tanto critici attenti, come Maurizio Calvesi, Maurizio Fagiolo e Alberto Boatto, quanto scrittori illustri, quali Alberto Moravia e Goffredo Parise. Allo Studio Marconi presenta nel 1967 il lungometraggio Anna Carini vista in agosto dalle farfalle, cui farà seguito la trilogia di film composta da Satellite, Umano non umano, Trapianto, consunzione e morte di Franco Brocani. Le sue prime esperienze cinematografiche, portate avanti parallelamente a quelle pittoriche, risalgono comunque al 1964 e da queste subito si evince l'attenzione critica che l'artista presta all'ininterrotto flusso di immagini prodotto dalla nostra civiltà tecnologica in cui il reale viene sempre sostituito dal suo "doppio", sia esso fotografico o televisivo o cinematografico.
Agli inizi degli anni Settanta Schifano comincia a riportare delle isolate immagini televisive direttamente su tela emulsionata, riproponendole con tocchi di colore alla nitro in funzione estraniante. Dapprima attinge moltissimo dal materiale girato per un film mai realizzato Laboratorio umano, poi dal patrimonio di immagini che quotidianamente trasmettono le nostre stazioni televisive. Tra gli anni Settanta e Ottanta partecipa a importanti mostre: "Vitalità del negativo nell'arte italiana 1960-70" e "Contemporanea", entrambe a cura di Achille Bonito Oliva; "Europa/America, l'astrazione determinata 1960-76" alla Galleria Nazionale d'Arte Moderna di Bologna; "Arte e critica 1980", a cura di Maurizio Calvesi; "Identité italienne" a cura di Germano Celant; "Arte italiana nel XX secolo" organizzata dalla Royal Academy di Londra. E' presente alle edizioni del 1982 e del 1984 della Biennale di Venezia. L'attenzione per il naturale caratterizza tutta l'attuale ricerca di Schifano: paesaggi, gigli d'acqua, campi di grano, movimenti del mare, distese di sabbia sono ricreati, reinventati, filtrati attraverso ricordi, pulsioni, sensazioni, affioramenti del profondo, sequenze di immagini veicolate da apparecchi televisivi, dalla pubblicità, dai rotocalchi, e si configurano pertanto come geografie della memoria. Nel 1990 il Palazzo delle Esposizioni di Roma, in occasione della sua riapertura, gli dedica una rassegna intitolata "Divulgare", con opere di grande formato realizzate per l'occasione. Nel 1996 Schifano rende un omaggio alla sua Musa ausiliaria, ovvero alla televisione, intesa quale flusso continuo di immagini in grado di strutturarsi come vera e unica realtà totalizzante della nostra epoca. Se alla fine degli anni Sessanta si limitava a estrapolare dai programmi televisivi dei singoli fotogrammi e a proiettarli decontestualizzati sulla tela, ora, invece, interviene sulle immagini pittoricamente, mutandone ulteriormente il senso.
Silvio Vigliaturo (Acri – Cosenza, 3 febbraio 1949)
E' il maestro della vetro-fusione, la cui tecnica conseguita in anni di sperimentazioni e ricerche, si rivela sempre più originale e personale, tanto da essere riconosciuta da esperti e critici, come unica al mondo. La sua capacità di raccontare e descrivere poeticamente la vita di oggi e di ieri in maniera atemporale, attraverso disegni, dipinti, sculture, vetrate, paraventi, racchiude in sé un’acutezza espressiva raffinata, e una prontezza di osservazione e sintesi artistica lungimirante. Vigliaturo nasce ad Acri (Cs) nel 1949 e si trasferisce all'età di 13 anni a Chieri, cittadina della collina torinese, dove tuttora vive e lavora. Giovanissimo, approda in una bottega artigiana di vetreria, dove si avvicina al vetro e apprende dal maestro vetraio i segreti e le tecniche di questo affascinante mestiere. All’età di 16 anni incontra il chierese Luigi Bertagna, architetto, artista accademico – allievo di Giacomo Grosso –, il quale gli trasmetterà le basi del disegno attraverso lo studio sulla figura. Dopo diverse mostre importanti nel 1988 e nel 1992 alla Galleria Accademia di Torino e nel 1990 al Palazzo della Regione Piemonte di Torino, decide di dedicarsi nuovamente al vetro, dando vita alla vetreria artistica tuttora situata in piazza Duomo a Chieri. I frequenti viaggi a Venezia regalano negli anni ’90 lo straordinario incontro con Adriano Berengo della Berengo Fine Arts, che diventa il suo curatore. Le opere di Vigliaturo cominciano ad essere apprezzate in tutto il mondo attraverso fiere, eventi e mostre. Dal 1996 partecipa a fiere come: Arte Fiera di Bologna, Arte Padova, Sofa di New York e Chicago, Art Miami di Miami, Stockholm Art Fair di Stoccolma, Art Innnsbruck, ARTSUR di Madrid, Kunst RAI di Amsterdam, Kunst Koln Internazionale Messe di Colonia, Art Dubai di Dubai, in Arabia Saudita, La Fiad di Beirut, Shanghai Art Fair, ST’Art di Strasburgo, Europ’Art di Ginevra. Le sue opere sono state acquistate da stimati collezionisti e hanno trovato collocazione in numerose collezioni permanenti di tutto il mondo. Altrettanto numerose ed importanti sono le gallerie che si interessano dei suoi lavori avendoli in permanenza, e quelle in cui ha esposto attraverso mostre collettive e personali: nel 1997 la Galerie Meringer, di Saint Polten, Vienna, lo ospita insieme a Sandro Chia e Kiki Kogelnik, in una mostra personale a tre; nel 1999 espone le sue opere insieme a quelle della Berengo Collection all’Hotel Cipriani nella mostra Made in Murano – making Art with Glass, in occasione della Mostra Internazionale del Cinema di Venezia, nel 2000 la Regione Valle d’Aosta promuove una personale all’interno della Chiesa di San Lorenzo di Aosta, curata da Paolo Levi e lo stesso anno espone nel prestigioso scenario del Palazzo delle Prigioni Nuove di Venezia, a cura di Enzo Di Martino. Nel 2001 il maestro è invitato a Segovia per una conferenza organizzata alla Fundacio Centro Nacional Del Vidrio, dove presenta la sua tecnica di fusione del vetro, confrontandosi con i più più grandi artisti contemporanei, tra i quali spiccano i nomi di Vistosi, Lipofsky, Libensky, Chihuly. Il 2001 è anche l’anno della partecipazione, come unico artista italiano, all’Hsinchu International Glass Fear, fiera d’arte che si svolge ad Hsinchu in Taiwan, alla fiera Italy and Japan di Tokyo, ospite della personale alla Galerie Nichido, e all’Italy 2001, Quality and life style, di Hong Kong. Nella primavera del 2002, alla presenza delle autorità cittadine, ma soprattutto di Josep Maria Subirachs – erede di Antoni Gaudì nella epocale realizzazione della Sagrada Famiglia –, inaugura una mostra personale alla Galeria d'Art Arnau di Barcellona culminata in una conferenza all’Escola d’Arts i Oficis del Trebal di Barcellona. Ancora l’estate del 2002 vede la partecipazione dell’artista all’Artist In Glass, International Glass Art Festival di Wateford, Irlanda, con una grande installazione di teste d’oro, al Röhsska Museum for Design and Applied Art di Goteborg, Svezia, che gli dedica una personale in occasione della mostra Made In Venice, la personale alla Torre Della Filanda di Rivoli, promossa dalla Regione Piemonte e curata dal critico Paolo Levi, e la mostra presso il principesco Palazzo Falcone del Comune di Acri, città natale dell’artista, curata dal critico Angelo Minisci, con catalogo edito e distribuito dalla Marsilio. Nell’autunno del 2003 Vigliaturo presenta i suoi lavori nella mostra collettiva dal titolo Heads up alla Vespermann Gallery di Atlanta, in Georgia, insieme, tra gli altri, a Sheryl Ellinwood e George Buquet. Grazie ai successi conseguiti, la stampa specializzata italiana ed estera ha concesso a Vigliaturo ampi spazi ed articoli. Riviste specializzate italiane come Art Leader, D’A, Artigianato, Alte Vitrie, Arte Mondadori, Flash Art, gli hanno dedicato copertine ed articoli redazionali. Nel corso della sua attività, stimati critici nazionali ed internazionali si sono interessati alle sue creazioni con positiva valutazione del suo operato.
Martha Pachón Rodríguez nasce in Santa Fe de Bogotà, Colombia
Si è diplomata in Belle Arti all’Università Surcolombiana di Neiva nel 1995.
Ha iniziato la sua carriera come docente di Educazione Artistica nel 1990, proseguendo fino al 2000, presso l’Istituto Superiore INEM di Neiva, Colombia.
Contemporaneamente, dal 1996 al 2000 ha insegnato Scultura e Progettazione presso l’Università Surcolombiana e, dal 1997 al 1999 è stata docente di Teoria del Colore e Dipinti sui Tessuti alla Facoltà di Design e Moda della “Corporaciòn Universitaria” di Neiva.
In seguito si é perfezionata in Italia al “Istituto d’Arte per la Ceramica” di Faenza, acquistando la specializzazione in Gres e Porcellana. Attualmente lavora nel suo studio a Fognano come ceramista scultrice e designer e come redattrice de la rivista di ceramica italiana “La Ceramica in Italia e nel mondo” curando la agenda degli eventi ceramici nazionali e internazionali e occupandosi della rubrica “nel mondo”.
Luciano Laghi è nato nel 1958 a Brisighella (Ravenna) dove vive e lavora in località di Fognano.
Diplomato all’Istituto d’Arte “G. Ballardini” di Faenza, dove attualmente è titolare della cattedra di Arte della Ceramica, ha poi frequentato l’Accademia di Belle Arti di Bologna diplomato nel 1982. Dal 1986 ad oggi innumerevoli le mostre cui ha partecipato.
Caterina Zacchetti nasce il 16 maggio 1979 a Milano dove vive e lavora.
Dopo il Liceo Artistico frequenta l’Accademia di Belle Arti di Brera e ottiene una borsa di studio presso l’ Universidad de Bellas Artes M.Hernandez di Altea, Spagna. Nel 2005 si diploma in Scultura.
Frequenta i corsi di Ceramica e Ceramica Raku presso la Fondazione Cova, Milano.
Luca Cannavicchio
Consegue la maturità artistica nell’anno 1995 all’Istituto Statale d’Arte di Firenze, sezione Decorazione Pittorica. Nel 2003 si laurea in Storia dell’Arte Contemporanea all’ Università degli studi di Firenze.
Dal ’90 al ’95 svolge attività di decoratore nell’azienda artigiana di famiglia.
Dal 2001 al 2005 è insegnante di Disegno presso la scuola di gioielleria Le Arti Orafe di Firenze.
Dal 2003 al 2005 insegna Storia del Gioiello Contemporaneo presso Le Arti Orafe di Firenze.
Nel 2003 realizza progetti e decori per l’azienda di serigrafia su porcellana. E apprende tecniche fondamentali della produzione ceramica sotto la guida di Stefano Giusti e Sandra Pelli.
Nel 2005 inizia l’attività di ceramista nel proprio laboratorio.
Nel 2005-2006 svolge attività di decoratore e restauratore di pitture murali.
Le sue opere plastiche in maiolica, spesso impreziosite con dorature, sono frutto di un’elaborazione formale basata su un forte lavoro di sintesi. Attraverso linee, volumi e colori punta a generare emozione estetica.
L’organizzazione di linee, volumi e colori può da sola suscitare pura emozione, pura eccitazione intellettuale. Questo il concetto che Luca Canavicchio pone a fondamento del proprio lavoro.
È così che le forme naturali da cui parte per la realizzazione degli animali della serie “bestiario” vengono scelte, in base alle possibilità che esse offrono di passare attraverso una riduzione geometrica, fino a una forte sintesi formale.