Il Comune di Guarene e l’Associazione Pro Loco per il Roero sono tornati al lavoro per mettere a punto la festa e tradizione del Cantè j’euv giunta quest’anno all’undicesima edizione. Come per gli anni scorsi la manifestazione, legata all’antico rito della questua delle uova, apre i propri orizzonti al di là dei confini roerini, coinvolgendo le Provincie di Cuneo, Asti ed Alessandria.
Ancora poche settimane, e diversi Comuni del Basso Piemonte si animeranno con l'antico rito del Cantè j'euv. Nessun tono ufficiale, nessun evento di massa, perfino una pubblicità sommessa da parte dei singoli gruppi: è la tradizione più genuina, più autentica, più antica di Cantè j'euv.
Formazioni musicali spontanee, molto spesso improvvisate per l'occasione, composte da giovani e anziani, ragazze e ragazzi prenderanno nuovamente la via delle colline, per raggiungere anche le case e le cascine più sperdute e svegliare ancora una volta, col canto e l'allegria, il padrone e la padrona di casa reclamando uova e un bicchiere di vino.
E’ proprio per questo desiderio di ritrovarsi insieme, che ogni anno accomuna generazioni diverse a rivivere, sotto la magia della luna, emozioni tanto antiche quanto troppo spesso dimenticate, che il Comune di Guarene e l’Associazione Pro Loco per il Roero, in collaborazione con i vari gruppi spontanei del Cantè j’Euv delle Province di Cuneo, Asti ed Alessandria, presentano la Festa e tradizione del “Cantè j’Euv” Roero 2011, il momento conclusivo dell’evento, in cui l’insieme variopinto delle diverse combriccole di canterini (più o meno intonati...) si incontreranno in un grande concerto finale di musica, convivialità ed allegria, all’insegna dell’improvvisazione, in cui tutti potranno rivivere emozioni genuine in una
serata ricca di suoni, sapori e solidarietà.
Il paese del Roero che quest’anno farà da scenario alla manifestazione sarà Sanfrè pronto ad ospitare il 16 aprile 2011 tutti coloro i quali vorranno riscoprire, almeno per una sera, il piacere di stare insieme, gustando, grazie ai suoni ed alle specialità gastronomiche dei gruppi partecipanti, sapori ed atmosfere di un tempo.
“Festa è solidarietà”: come da consuetudine, tutti i gruppi devolveranno gran parte del ricavato
delle questue in beneficenza a favore del Centro di aiuti alla vita di Bra.
Il C.A.V. di Bra si è costituito nel 1993 ed ha iniziato la sua attività dal gennaio 1994.
Dal giugno 1994 siamo iscritti all’albo regionale del volontariato nella sezione socio-assistenziale e fin dalla sua costituzione siamo membri della Consulta del volontariato comunale di Bra. Il primo grosso impegno è stato, e lo è tuttora, quello di divulgare lo scopo principale della nostra Associazione: diffondere la cultura del rispetto e dell’accoglienza della vita nascente, per il bene della mamma e del suo bambino; allo scopo abbiamo partecipato a incontri con gruppi, scolaresche, personale sanitario e realizzato banchetti, concerti, ed altre attività promozionali.
Per meglio conoscere, e farci conoscere, nell’ambiente sanitario, accompagniamo regolarmente le donne assistite alle visite mediche, e sovente le nostre operatrici mediano direttamente coi medici.
Nel 2001, usufruendo del contributo finanziario regionale, abbiamo realizzato un progetto importante ed impegnativo: l’attivazione di “Casa Letizia”, una struttura abitativa di accoglienza per gestanti abbandonate o senza casa.
Il 31 dicembre 2010 è scaduto il contratto di affitto dei locali che abbiamo utilizzato finora per la sede istituzionale ed operativa e la proprietà non ci ha concesso il rinnovo, per cui attualmente siamo alla ricerca di nuovi locali per espletare il nostro servizio di assistenza.
La conferenza stampa di presentazione dell’iniziativa si terrà sabato 12 Marzo ore 16,00 presso la
Cascina Piedelmonte di Guarene.
Per ulteriori informazioni è possibile contattare il Comune di Guarene, sede organizzativa della
manifestazione:
o Tel: +39 0173611900 - Fax: +39 0173611127
o Cell: +39 3357029597 (Beppe Vezza)
o e-mail: info@guarene.it
Pres. Assoc. “Pro Loco per il Roero”
Beppe Vezza
Ass.to Turismo
Piero RIVETTI
Ass.to Cultura
Giuliana Borsa
Cenni di una tradizione: il Cantè j’euv
Le piccole comunità rurali del basso Piemonte (la zona che oggi conosciamo come Langhe, Monferrato e Roero) hanno sviluppato nel corso dei secoli una miriade di tradizioni variamente legate al calendario delle festività cristiane. Fino a quaranta-cinquant’anni fa non c’era in pratica stagione o momento dell’anno che non fosse fortemente caratterizzato da un rito, una consuetudine sedimentata dal tempo, una festa popolare, uno spunto di aggregazione. D’inverno erano le veglie nelle stalle (le vijà) a riunire intere famiglie al calor di fiato di bestie, stringendole intorno a racconti e canti dialettali, di primavera era il cantè magg, o la festa dei coscritti, quindi al sorgere dell’estate la notte di san Giovanni con i suoi misteriosi falò in cima alle colline, e poi le sagre patronali, le feste della vendemmia e via via fino al nuovo sopraggiungere dell’inverno. Ma c’era tra tutte una tradizione particolare, forse la più sentita in certi paesi, certo la più strana, la più suggestiva ed emozionante: la questua delle uova, in dialetto cantè j’euv.
L’allungarsi dei giorni, ai primi di primavera, l’erba nuova nei prati e la luna nuova nel cielo, l’odore nuovo della polvere delle strade e i primi tepori della bella stagione, inducevano gruppi di giovanotti a prendere la via delle cascine, nelle notti di quaresima che precedono la Pasqua. Muovendosi rigorosamente a piedi o, al più, su carri trainati da bestie, i giovani giungevano al limitar delle aie e lì cominciavano a cantare, nascosti dalla notte e avvisati solo dal cane che per lo più si univa stonatamente al coro. La canzone era una specie di filastrocca in dialetto piemontese: “Suma partì da nostra cà, ca i-era n’prima seira, per venive a salutè, devè la bun-ha seira…” (Siamo partiti dalle nostre case che era da poco sera, per venirvi a salutare e darvi la buona sera). Questo l’inizio. Poi seguivano altre strofe, molte altre strofe, in cui si invitava il padrone di casa a uscire e consegnare un po’ di uova. Il padrone il più delle volte usciva per davvero, magari assonnato nel primo sonno, con i pantaloni ancora inmano, e faceva scivolare una dozzina d’uova in una cesta portata a braccio da uno strano figuro, il fratucìn (che era poi nient’altro che un ragazzo vestito da frate). Dunque msuccedeva di tutto un po’ in quei cortili di cascina illuminati solo dalla luna, quando c’era: i cantori cantavano, il padrone, o la padrona, di casa per lo più stava al gioco e, dopo essersi fatta attendere un po’, si affacciava all’uscio con le uova in mano, quindi potevano accadere molte cose: che i cantori ringraziassero, sempre con il canto, la padrona per poi riprendere il cammino verso un’altra cascina, oppure che il padrone di casa, ormai ben desto, facesse entrare in casa o in cantina i
ragazzi, offrendo loro un bicchiere di buon vino rosso e tagliando il salame fatto in casa. Erano rare le volte in cui il padrone di casa non voleva proprio saperne di uscire: in quei casi i ragazzi se ne andavano maledicendo la cascina e i suoi abitanti, in particolare gli animali e il raccolto. Ma erano maledizioni bonarie e scherzose, non c’era mai reale intento di augurare sventure. Così, con l’andar della notte, l’intero villaggio risultava animato di canto e di musica: di musica, certamente, perché i questuanti avevano sempre con sé il clarino, la fisarmonica, un tamburo o un trombone.
Certo era una festa per tutti, un bel modo di trascorrere insieme le prime notti tiepide di primavera.
Ma c’erano anche altri significati alla base di questa tradizione: le uova raccolte erano utilizzate il mgiorno di pasquetta per preparare una grande frittata cui era invitato tutto il paese (motivo di comunione e socializzazione); chi andava a cantare le uova era quasi sempre poco facoltoso e in penuria di mezzi, e le uova si cantavano soprattutto in quelle cascine dove c’era abbondanza di animali e quindi di ricchezza (motivo di giustizia sociale e redistribuzione del reddito); a volte i
ragazzi del gruppo vendevano le uova raccolte e con il ricavato si pagavano la festa dei coscritti (in pratica la festa dei 18 anni che tutti i ragazzi di uno stesso paese facevano insieme in estate); i ragazzi spesso con il pretesto della questua delle uova facevano la corte alle ragazze, ossia le figlie del padrone di casa, e molti matrimoni sono effettivamente nati così (motivo di stabilità sociale e solidità della comunità rurale); e poi chissà quanti altri motivi, più o meno importanti, più o meno dichiarati, più o meno attendibili. Quel che c’è da dire è che per tutto il paese il cantè j’euv era un
momento fondamentale per ritrovarsi insieme, finalmente all’aperto, dopo un inverno passato chiusi in casa, per tutti era l’occasione di sgranchire le gambe, ristabilire un contatto con la natura, riprendere la via dei campi dopo i lunghi mesi di gelo (motivo ecologico).
Eppure tutti questi, invero tanti, motivi e significati non sono bastati per salvare il cantè j’euv dall’orlo dell’estinzione. Trent’anni fa le uova non si cantavano praticamente più. Scomparse.
Sembrava persino non ci fosse mai stata una tradizione simile. Poi un giovanottone di Magliano Alfieri, certo Antonio Adriano, decise nel 1965 di riprendere per mano la tradizione. Provò a riproporla, sia nel suo paese, sia nei comuni dei dintorni. E fu immediatamente un successo.
Contemporaneamente, in Langa, precisamente nel minuscolo borgo di Prunetto, il gruppo musicale dei Brav’om guidato dal mitico “Brun” faceva la stessa cosa, rilanciando il cantè j’euv anche nei suoi paesi. Il cantè j’euv era salvo. Da allora la tradizione non si è mai più persa, anche se ha vissuto momenti molto particolari. Come nei primi anni Ottanta, quando un gruppo di Bra, animato da Carlin Petrini oggi presidente del movimento internazionale Slow Food, ripropose la tradizione in grande stile, invitando in terra di Langa alcuni gruppi musicali molto famosi in Italia e all’estero. Il cantè j’euv diventò così una specie di grande festival folkloristico internazionale, con migliaia di mspettatori accorsi da molto lontano per vedere il cantè j’euv. Ma fu una specie di esperimento, ben presto esauritosi per lasciare di nuovo spazio ai tanti, piccoli cantè j’euv di paese portati avanti da gruppi che di famoso non avevano nulla.
Ed anche ai giorni nostri, tempi di globalizzazione e troppo spesso di individualismo, la tradizione rimane viva ed attuale, portando generazioni diverse a ritrovare il piacere di mettersi in cammino nelle sere di primavera, esprimendo nel canto e nella musica il desiderio di ritrovarsi insieme.