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07/09/2014Pierluigi Capra - Free Lance
 
Alla Mostra Internazionale del Cinema di Venezia 2014
 
ALBA ROHRWACHER VINCE LA COPPA VOLPI COME MIGLIOR ATTRICE
 
 


L'Italia porta a casa, dalla Mostra del Cinema di Venezia del 2014, il premio per la miglior interpretazione femminile assegnato alla Rohrwacher.
Alba nasce a Firenze nel 1979, da padre tedesco e inizia a recitare in teatro.
Il battesimo davanti alla macchina presa è nel 2004 con il film L'amore ritrovato per la regia del compianto Carlo Mazzacurati.
Seguono molte altre interpretazioni di buon livello nel film di Daniele Luchetti Mio fratello è figlio unico, Piano solo di Riccardo Milani (2007), Giorni e nuvole di Silvio Soldini, ruolo per cui riceve il David di Donatello 2008 come migliore attrice non protagonista.
Nel 2008 partecipa al film Riprendimi, presentato al Sundance Film Festival negli Stati Uniti, a Caos calmo di Antonello Grimaldi e al film Il papà di Giovanna di Pupi Avati presentato alla Mostra di Venezia.
Nel 2009 ritorna sul grande schermo con altri quattro film: Due partite, per la regia di Enzo Monteleone, con cui viene nominata ai Nastri d'Argento come migliore attrice non protagonista, Io sono l'amore di Luca Guadagnino, L'uomo che verrà di Giorgio Diritti, per il quale viene nuovamente candidata al David di Donatello e Il tuo disprezzo per la regia di Christian Angeli.
Poi ancora Cosa voglio di più di Silvio Soldini, La solitudine dei numeri primi di Saverio Costanzo presentato a Venezia nel 2010, Sorelle Mai con la regia di Marco Bellocchio, Via Castellana Bandiera diretto da Emma Dante nel 2013, Con il fiato sospeso per la regia di Costanza Quatriglio, Le meraviglie dove viene diretta dalla sorella Alice Rohrwacher nel 2014 e finalmente il premio finora più importante della sua carriera il 6 settembre 2014 la Coppa Volpi per la migliore interpretazione femminile per il film Hungry Hearts del suo compagno Saverio Costanzo.
Nel film la Rohrwacher è la protagonista insieme all'americano Adam Driver, che a Venezia vince la Coppa Volpi per la miglior interpretazione maschile. I due si incontrano per la prima volta in una piccola toilette di un ristorante cinese. Da lì nasce una relazione che darà alla luce un bambino e li porterà al matrimonio. Dal colloquio con una veggente Mina (questo è il nome della protagonista nel film) si convince che il suo sarà un figlio speciale che andrà protetto da ogni contaminazione esterna, da ogni impurità e contagio. Coltiva per lui ortaggi sul terrazzo di casa, non lo fa uscire di casa per mesi, gli impone un'alimentazione vegetariana impedendogli di fatto una crescita normale. Il marito Jude decide di opporsi a queste scelte portando di nascosto il figlio da un medico che mette in evidenza la gravità della situazione. Mina però cede solo apparentemente alle richieste del coniuge e il conflitto si fa più acuto. Il film, che guarda i personaggi con delicatezza senza giudicarli mai, “è una storia d'amore in cui l'amore è guardato da tutte le sue angolature, come se fosse qualcosa di concreto, con tante facce e uno spigolo” sostiene la Rohrwacher in un'intervista.
Il disagio, il malessere esistenziale sono da sempre al centro del cinema di Saverio Costanzo. Che si tratti dei palestinesi di Private, dei seminaristi di In memoria di me o dei giovani de La solitudine dei numeri primi la sua macchina da presa inquadra situazioni che sono al contempo estreme e quotidiane. Hungry Hearts trae ispirazione dal romanzo “Il bambino indaco” scritto da Marco Franzoso nel 2012, in cui Costanzo mette a frutto la propria profonda conoscenza delle dinamiche del thriller e la mette al servizio di una riflessione profonda sui problemi dell'essere genitori ai tempi degli Ogm.
Gli interrogativi che si pone sono di tipo filosofico ed esistenziale. I figli sono, prima di ogni altra cosa e più di ogni altra cosa, oggetti di consumo emotivo? I figli sono desiderati per la gioia dei genitori perché capaci di dare un tipo di gioia che nessun altro oggetto di consumo, per quanto ingegnoso e sofisticato, può offrire? È forse questo il tipo di consumo che Mina sta cercando, anche se all'inizio lo vorrebbe evitare.
Mina non è una specie di Rosemary Baby di polanskiana memoria, ma una donna che dimentica di essere tale per diventare madre totalizzante e possessiva a tempo pieno, il figlio è solo suo e il marito Jude viene estromesso.
La Rohrwacher è brava nel tratteggiare una donna ossessionata dalle norme nutrizionistiche, convinta di essere l'unica capace di fare la genitrice, l'unica a sapere “cosa è bene” per il figlio rifiutando qualsiasi confronto. Il cordone ombelicale per lei non è solo un elemento fisiologico, ma un trasmettitore di sensibilità, di sapienza, di potere sociale. Costanzo sa come descrivere questo processo.
C'è poi l'amore di una nonna verso il nipotino e verso suo figlio. Nel lavoro di Costanzo si mettono a confronto due madri, due generazioni, ma anche due culture, quella americana e quella europea. L'apparato sembra una tragedia greca, con un deus ex machina finale che risolve tutto.
Non è la prima volta in cui la Rohrwacher interpreta una ragazza con disturbi alimentari. Già nel film La solitudine dei numeri primi dovette perdere 10 kg. Lì il lavoro era partito dal corpo, perché il regista le aveva chiesto di fare prima una metamorfosi fisica, e poi di entrare nel personaggio di Christian Angeli in carne ed ossa.
Non manca certo la riflessione sul problema delle diete, dei vegetariani e vegani, della medicina alternativa.
Il film sarà presentato, nei prossimi giorni, al Festival di Toronto in Canadà, speriamo piaccia come è piaciuto a Venezia.
Pierluigi Capra
Foto di Gabriele Trevisan
 

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