Sono passati cento anni dall'inizio della Grande Guerra. La Prima Guerra Mondiale ha cambiato totalmente la storia umana, ha dato inizio al Secolo Breve, ha rovesciato l'orizzonte degli uomini in ogni continente. L'aspetto che più ci interessa è il fattore umano. La domanda che ci siamo posti è: cosa è rimasto dell'uomo nella più inumana catastrofe della guerra? La risposta l'abbiamo cercata fra le trincee italiane, stando accanto ai soldati che l'hanno combattuta la Grande Guerra. “L'albero storto” è il nome di una trincea sul Carso, una trincea in mano agli Austroungarici. Nello sconvolgimento del territorio rimane vivo un elemento naturale, un albero che diventa immediatamente un simbolo per tutti i combattenti. Ma “l'albero storto” è anche un'immagine che rimanda agli uomini in guerra: un essere che cresce e vive, nonostante tutto. In scena ci sono tre personaggi, raccontati da un'unica voce: un ufficiale, il “Capitan”, e due soldati semplici, Tonon e Romeo, tutti impegnati a prendere la trincea dell'albero storto. Tonon e Romeo sono l'anima contadina dell'Italia trasformata in fanteria. Tonon e Romeo, a loro modo, portano la dignità della vita dentro alle trincee. Il Capitan, il protagonista della storia, scoprirà assieme ai suoi soldati la sua vera natura. Ad accompagnare i protagonisti della storia c'è la musica che ha scandito i giorni della Grande Guerra sul fronte italiano. “L'albero storto” racconta le vigliaccherie e le fragilità della trincea, un luogo di ricordo, di canti, di attesa, di spasmo, di battaglia. “Gli dirò che fra gli morti, cioè i nostri fratelli, passeggiamo come passeggiare sopra gli sassi di un fiume, questa è la civiltà che a la nostra Italia” (da una lettera dal fronte).